Maschere e mascherine: brevetti dal passato | Massime dal Passato

2022-10-12 01:33:15 By : Mr. Steven Liu

L’ingegno umano di cent’anni fa alle prese con il dispositivo di protezione individuale, ora come allora, così importante e necessario.

Prima della sventura chiamata Covid-19 la mascherina era un dispositivo negletto dalla maggior parte del popolo italiano, e da molti di noi talvolta addirittura considerato, al di fuori dell’uso in ambito sanitario, un buffo e inutile orpello indossato solo da cittadini asiatici in metropolitana, spesso per questo guardati addirittura con sospetto. Ma ora non si parla d’altro, e tra corse alla speculazione e prezzi calmierati, dovremo imparare a convivere anche con questo strumento.

Per familiarizzare con le mascherine, abbiamo così provato a investigarne l’evoluzione tecnologica, scandagliando i dispositivi più curiosi e ingegnosi descritti e rivendicati in brevetti statunitensi concessi tra il 1866 e il 1920, l’anno della fine della famigerata pandemia di influenza “spagnola“.

Partiamo da un modello “basico”: l’invenzione del sig. T. A. Hoffmann oggetto del brevetto n. 58255, concesso il 25 settembre 1866.

L’invenzione è realizzata con garza e cotone e ha lo scopo di fornire un dispositivo adeguato ed economico per “filtrare l’aria che viene inalata durante la respirazione”, idoneo ad arrestare “polvere e corpi estranei che galleggiano dentro l’aria e protegge gli organi respiratori dall’influenza di elementi malarici e contagiosi che si possono trovare nell’atmosfera” e “di grande aiuto per coloro che sono affetti da malattie dei polmoni o della gola”.

Il sig. D. Genese, inventore del brevetto n. 346367, del 27 luglio 1886, propone un prodotto rigido e piuttosto sofisticato, studiato non solo per impedire l’ingresso nella bocca e nei polmoni di “fredda, aria sporca o fumo” ma anche per consentire l’inspirazione di “aria calda, purificata o medicata”.

Un ingegnoso sistema di valvole, ubicate sui lati e sul fondo della maschera, consente prima l’accesso dell’aria solo dopo che essa è passata attraverso un’apposita camera di purificazione, e poi la sua espirazione in modo agevole e senza che la maschera ne venga sporcata.

Il brevetto n. 366759, del 19 luglio 1887, ha ad oggetto una maschera rivolta a “proteggere la gola e i polmoni delle persone che lavorano negli stabilimenti produttivi, dove sono generati molta polvere e gas”, e che è adatta per essere assicurata alla testa di chi la indossa in modo tale da non interferire con la libertà di movimento.

L’inventore, sig. J. Byrnes, propone una soluzione alquanto inusuale: l’apertura della maschera, che consente il passaggio dell’aria, è rivolta verso la parte posteriore del corpo. Assai elegante, ancorché estremamente semplice, appare il sistema di bloccaggio del filtro dell’aria, costituito da una serpentina in metallo impegnata da un lato a un occhiello e dall’altro a un gancetto.

Questo brevetto del 25 settembre 1888 (n. 390027), riguarda una maschera che potremmo definire minimal: è composta da due parti principali arrangiate in modo tale da adattarsi perfettamente alla bocca (coprendola completamente) e alle narici (inserendovisi all’interno di esse) senza tuttavia coprire altre parti del viso.

Sebbene l’inventore sig. J.C. Locke abbia avuto cura di spiegare nella domanda di brevetto che il miglioramento oggetto dell’invenzione sia rappresentato dalla capacità del dispositivo di filtraggio di adattarsi meglio agli orifizi che esso deve proteggere, nonché della sua maggiore leggerezza, comodità, sicurezza e facilità di applicazione, nonché più semplice rimozione, dubitiamo che tale invenzione abbia avuto successo commerciale, dal momento che pare renda alquanto difficile parlare e, comunque, renda la voce piuttosto nasale.

Da quella minimal passiamo a una versione più invasiva e coprente. Questa invenzione del marzo 1903, non solo pare pregevole per tecnica e comfort, ma ha anche la particolarità di essere stata creata da una donna, la sig.ra Mary Longden.

Dal punto di vista tecnico, questa maschera è caratterizzata da vari elementi che, almeno in apparenza, la rendono non solo ingegnosa, ma anche molto confortevole: (i) realizzazione in materiale flessibile; (ii) presenza di una parte metallica a “memoria di forma” sul naso; (iii) apertura della parte anteriore destinata ad essere chiusa con un elemento di forma concava-convessa in rete metallica semirigida, all’interno della quale è presente una spugna-filtro che può essere impregnata di acqua o un liquido disinfettante, talché l’aria giunga alle vie aeree solo dopo aver attraversato questo ulteriore mezzo di filtraggio.

La maschera oggetto di questo brevetto del 2 dicembre 1902 è specificamente rivolta alla classe medica.

Nel testo del brevetto l’inventrice (anche in questo caso una donna), sig.ra Margaret Goodwin, specifica che la maschera è leggera, semplice e durevole, facilmente indossabile e rimuovibile dalla faccia nonché provvista di un sistema per attaccare alla montatura un panno in lino o cotone che può fungere da filtro o come vettore di un disinfettante per prevenire l’entrata nella gola e nei polmoni di germi patogeni attraverso la bocca o il naso. Si indica altresì che l’invenzione troverà la sua più ampia applicazione da parte della “fratellanza medica” nel trattamento di malattie contagiose o da parte infermieri o altri soggetti che si prendono cura di coloro che sono malati di tubercolosi.

In questa categoria possiamo includere ben quattro invenzioni.

La prima maschera, descritta e rivendicata nel brevetto n. 752114, concesso il 16 febbraio 1904, presenta due piccole prese d’aria posteriori che veicolano l’aria alla bocca e al naso tramite due tubi integrati che decorrono sui lati della maschera stessa.

Gli inventori, sig.ri L. Sennett e A. L. Moore, indicano che il loro trovato è destinato particolarmente all’uso da parte di barbieri e dentisti, per prevenire l’inalazione del respiro di persone affette da malattie contagiose.

La seconda maschera, di forma assai curiosa (a piccolo manubrio), è oggetto del brevetto n. 1166462, del 4 giugno 1916.

Una delle due attuazioni dell’invenzione mostrate nei disegni (v. Fig. 1, Fig. 2 e Fig. 3) pare assai scomoda, poiché prevede che la maschera venga indossata mediante una clip (Fig. 4) da attaccare alla columella e alla parte terminale inferiore della branca mediale della cartilagine alare maggiore del naso.

Anche in questo caso, l’inventore sig. T. J. King specifica che la maschera è destinata a “coprire la bocca e le narici di barbieri, dentisti, chirurghi, infermieri e altri il cui lavoro rende loro necessario piegarsi direttamente sopra il viso o la parte interessata di un paziente o cliente”. Nel brevetto non si manca di sottolineare che l’inalazione dell’altrui respiro non solo è “estremamente spiacevole” ma che è anche “spesso causa della diffusione di germi patogeni”.

La terza maschera di questo gruppo, a nostro avviso pregevole sintesi di forma e funzione, è contemplata dal brevetto n. 1202510, del 24 ottobre 1916.

L’astuto inventore, sig. E. M. Grindle, ha infatti concepito un sistema di prese d’aria posteriori e relative tubazioni da e verso il naso (volte ad evitare a “barbieri, dentisti e vari specialisti delle professioni mediche” di evitare l’inalazione del respiro della persona trattata o operata, che può essere “spiacevole, ripugnante o affetto da malattie contagiose”) ricavandole direttamente all’interno dei cernecchi tramite i quali la maschera viene fissata al viso. E per consentire all’utilizzatore di parlare (apparentemente senza troppe difficoltà) ha altresì realizzato la parte copri bocca con forma leggermente concava/convessa. L’unico elemento che non ci convince sono le protuberanze destinate ad essere alloggiate nelle narici, di sicuro impaccio e, per le persone dai capillari nasali sensibili, forse latrici di inaspettate, quanto imbarazzanti, epistassi.

La quarta maschera, contemplata dal brevetto n. 1463390, concesso il 31 luglio 1923, pare un’evoluzione del brevetto appena sopra descritto, perché da esso mutua l’ingegnosa idea di utilizzare le parti di fissaggio del dispositivo al viso come prese e tubazioni d’aria. Anche questa maschera è perlopiù destinata a barbieri, dentisti e chirurghi, costretti ad una posizione di lavoro che li costringe a inalare l’insalubre respiro dei clienti/pazienti. Ma questa invenzione si rivolge anche a necrofori, chimici e meccanici, che spesso lavorano in prossimità di aria e vapori contaminati da gas tossici e germi patogeni, che “possono essere resi innocui” se l’aria è respirata dalla parte posteriore della testa anziché da quella anteriore.

Il trovato del sig. A. Fernandes è tuttavia senz’altro migliorativo rispetto a quello precedente perché le aperture alle quali giunge l’aria inspirata (e nelle quali entra l’aria espirata poi espulsa dalle aperture posteriori) sono ricavate nella parte laterale del dispositivo, evitando così all’utilizzatore di avere fastidiose protuberanze infilate nelle narici.

Il brevetto n. 925409, concesso il 15 giugno 1909, inventori i sig.ri B. Woolf e T. W. Richards, riguarda una maschera davvero particolare. Di dimensioni ridotte (ancorché non così minimali come quella descritta sopra al paragrafo 4) è caratterizzata da un “assetto variabile”: è composta da “due sezioni separate tra loro connesse in modo flessibile, una adatta a coprire la bocca e l’altra adatta a coprire il naso, e usate in connessione con un supporto che serve a mantenere le due sezioni nella opportuna loro posizione”.

Le due sezioni (orale e nasale) della maschera sono tra loro impegnate mediante una cerniera, consentendo alla prima sezione di salire verso il naso per scoprire la bocca, e alla seconda sezione di scendere verso la bocca per scoprire il naso. In tal modo, è possibile coprire alternativamente la bocca o il naso senza dover rimuovere la maschera, e senza dover rinunciare completamente alla tranquillità di poter prevenire, almeno in parte, l’inalazione di “polvere o altre particelle volanti o germi”. A noi sembra che, pur rinunciando a un poco di minimalismo, questa soluzione tecnica abbia, almeno in parte, ovviato agli inconvenienti dell’invenzione descritta sopra al paragrafo 4 (impossibilità di parlare e voce nasale).

Questo brevetto del 18 novembre 1913 riguarda una maschera che pare discostarsi in modo significativo da tutte le altre visto fino ad ora, pur avendo sempre la finalità di formare una barriera contro l’inalazione di agenti nocivi.

Come indicato dall’inventore, sig. W. F. Fanning, le caratteristiche che rendono la maschera ingegnosa sono due: (i) la possibilità di inserire e rimuovere con facilità l’agente assorbente o filtrante, cosicché ne sia semplice la sostituzione quando necessario; e (ii) la forma del dispositivo e la disposizione delle aperture per il naso e per la bocca, tra esse e rispetto al viso dell’utilizzatore, tale da prevenire la formazione di bolle d’aria tra il viso e la maschera e quindi da consentire all’aria espirata di fuoriuscire completamente dalle aperture, prevenendone totalmente la re-inspirazione.

I brevetti n. 1292095 e n. 1292096, entrambi concessi il 21 gennaio 1919 riguardano maschere di concezione affatto moderna e molto simili tra loro, essendo peraltro state create dal medesimo inventore, il sig. N. Schwartz. Sono concepite specialmente per le persone che lavorano in ambienti polverosi (nel brevetto n. 1292095 è assai suggestivo il disegno della casalinga americana che spolvera, ma che previene starnuti e fastidi indossando una bella mascherina che, pur tenendola al sicuro, non smorza il suo sguardo intenso e languido). Ma nei brevetti si specifica che i dispositivi in questione sono progettati per proteggere non solo dalla polvere da fumi e gas nocivi o da malattie invettive suscettibili di essere contratte mediante l’inalazione di polvere contenente batteri o altri agenti patogeni.

A differenza di tutte quelle precedenti, queste mascherine sono realizzate tramite la sovrapposizione di pezzi di tessuto a maglie larghe e che un cavetto morbido, o da altro materiale flessibile simile, è inserito nella parte superiore per adattare adeguatamente la forma della maschera a quella del naso. Nel brevetto n. 1292096, la maschera è anche provvista una parte centrale a forma romboidale nella quale può essere inserita e rimossa una spugna che può essere impregnata con un composto chimico idoneo ad assorbire o neutralizzare gas nocivi o tossici.

L’ultima maschera di questa carrellata: brevetto n. 1319273, concesso il 21 ottobre 1919. Si tratta di un dispositivo specificamente adattato per essere utilizzato da parte del personale sanitario allorché in presenza di pazienti affetti da influenza, meningite, e da altre malattie contagiose che possono essere trasmesse tramite le secrezioni nasali e orali.

Questa maschera è caratterizzata da: (i) anima rigida per mantenere una forma tale da facilitare la respirazione dell’utilizzatore; (ii) forma oblunga, che consente di coprire un’ampia regione del viso, dalla glabella sino al mento compreso; e (iii) possibilità di attaccare a uno dei vertici interni della maschera un tampone di cotone o altro materiale assorbente impregnato di una soluzione antisettica.

Probabilmente, nel concepire il suo trovato, l’inventore sig. J. A. Dobey aveva bene presenti le necessità dei medici e infermieri a quel tempo impegnati nella lotta alla micidiale influenza spagnola, che in soli due anni venne contratta da circa mezzo miliardo di individui e causò la morte di oltre 50 milioni di persone.

La ricerca che abbiamo condotto ci ha portato a scoperte interessanti, anche perché le mascherine, anche quelle più sofisticate e protettive, non sono affatto un’invenzione recente, nonostante fossero del tutto inutilizzate nella pratica clinica e chirurgica almeno fino al 1897, quando vennero adottate per la prima volta dal medico parigino Paul Berger,

Naturalmente, altre maschere sono state inventate e senz’altro brevettate negli ultimi 100 anni dal 1920 ad oggi, specie dopo l’avvento dell’utilizzo in larga scala e sistematico dei tessuti sintetici, particolarmente adatti a questo impiego.

Anche in un settore tecnico apparentemente così poco sofisticato, l’essere umano non ha mancato di mostrare il proprio ingegno, la propria creatività e la propria straordinaria attitudine a risolvere problemi.

Che sia di buon auspicio, davvero.

Reg. Trib. Milano n. 113/2020, direttore responsabile Pasquale Tammaro

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